Ci hanno sempre decantato la straordinaria intelligenza degli indiani, soprattutto in ambito informatico. Tuttavia, nella mia esperienza lavorativa, di quest'intelligenza non è che vi sia molta traccia.
Il primo indiano con cui ho lavorato dormiva sul posto di lavoro. E non in senso lato. Magari era intelligente chissà. Ma di fatto dormiva, per non parlare di quando lo faceva dopo pranzo. Lì russava proprio. Il secondo indiano sorrideva sempre. Ma non andava oltre questa difficile mansione. Era molto bravo a sorridere e sapeva farlo quasi in tutte le occasioni, cordogli compresi, ma il suo know-how si fermava là. Il terzo indiano era un manager e il suo leit motif era "No questo non si può fare" o meglio, "No! Izimpossbl, ui-cannot-dudé!". E puntualmente, nel giro di una mezz'ora scoprivamo che la cosa era più che fattibile. Il quarto indiano si puliva i piedi durante le riunioni. Il quinto era una donna, ma non abbiamo mai capito cosa facesse di mestiere né quale fosse il suo ruolo nell'azienda. Però partecipava a tutte le riunioni in qualità di specialista.
Il penultimo indiano è l'eccezione, felicemente trapiantato in America, ha sempre capito quello che intendevo dire. Certo, anche lui aveva qualche problemino col tenersi le scarpe ai piedi, ma almeno la pedicure se la faceva a casa.
Siddharta Gautama |
E poi c'è lui, l'indianello della metro. Anzi, del vagone. Treno in corsa, prossimo alla fermata per la stazione Centrale, ore 18.30. L'indianello è in piedi, come tanta altra gente a quell'ora. Il vagone rallenta e si ferma. La banchina è sulla sinistra, pertanto si aprono solo le porte di sinistra. Osservo il vagone svuotarsi lentamente e lui procedere in direzione totalmente opposta, sul lato destro del convoglio. Tutto trafelato comincia a premere il bottone per aprire la porta, ma quella porta dà su un muro. Ed è parecchio evidente, non ci sono graffiti sui vetri, né passaggi dimensionali. Un muro insomma. Ma io sono abbastanza certo che l'indianello vedesse oltre la realtà cui siamo abituati noi mortali. Probabilmente era un bodhisattva o un Jivanmukta in ferie a Milano. Sono certo che la convinzione con cui ha cliccato un migliaio di volte quel bottone era indice di un essere superiore. Noi tutti vedevamo un muro, lui ci vedeva il Nirvana. Quando a un tratto si rende conto d'aver sbagliato lato, si gira e sorride alle porte ancora aperte sul lato sinistro. Fa per lanciarsi quando queste si richiudono impedendogli di scendere dal vagone.
L'indianello si spalma sul vetro e la metro riparte.
Mi si è stretto il cuore.
p.s.
vorrei menzionare alcuni degli indiani illustri di cui ho letto libri o biografie, magari la loro storia potrebbe interessare anche voi: Jiddu Krishnamurti, Srinivasa Ramanujan, Sri Yukteswar, Nisargadatta e Ramana Maharshi
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