Partirò da
Zanzibar nuotando nell’
Oceano Indiano per 50 chilometri senza sosta (entro 24 ore) fino a
Bagamoyo. Da lì, attraverso la savana, percorrerò di corsa
1.200 chilometri in 27 giorni, in pratica una maratona al giorno. Raggiunte le pendici del
Kilimanjaro (1.600 mt) salirò da un versante fino alla vetta (5.895 mt) senza l’ausilio di campi intermedi, senza ossigeno e portatori, per poi ridiscendere dall’altro versante, entro le 24 ore.
No tranquilli non sono io (che al massimo partirò dal bar camminando fino al ristorante indiano per cinque chilometri e con qualche sosta) ma è
Danilo Callegari, esploratore ed amante di sport estremi che in questi giorni sta facendo in solitaria la sua ennesima prova di resistenza sia fisica che psicologica in
Tanzania.
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foto by danilocallegari.com |
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foto by danilocallegari.com |
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foto by danilocallegari.com |
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foto by danilocallegari.com |
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foto by danilocallegari.com |
Ed è proprio la prova psicologica ad essere probabilmente la più difficile perché oltre al mare mosso, agli squali e ai problemi fisici dovuti allo sforzo (piaghe, tendiniti) ci si è messo anche il fattore locale.
Racconta infatti quanto avvenuto durante la terza maratona...
"Giornata complicata questa di oggi sia per quanto riguarda la sicurezza che per il mio stato di salute.
Eravamo nel bel mezzo di una zona semi-montuosa con qualche villaggio disperso e tutto attorno savana e piante bruciate dal fuco dei locali per crearsi il carbone.
Ho preso l'iniziativa di mandare avanti il fuoristrada con la squadra a bordo di 5 km per facilitare la mia mente a raggiungere il punto dato che fino a quel momento l'ho sempre avuto attaccato dietro.
Ero quindi solo, quando un uomo adulto con faccia poco raccomandabile e occhi ripieni di sangue, mi ha passato in sella ad una moto squadrandomi da testa a piedi, tornando indietro dopo soli cento metri, risquadrandomi in un modo che non mi era affatto piaciuto. Ecco quindi la mia decisione di togliere l'orologio dal polso e infilarmi dentro dei cespugli mimetizzandomi al meglio in attesa di un suo ritorno per concludere l'opera. E così è stato. Due moto una con lui e l'altra con altri due uomini
armati di machete. Vedevo che mi cercavano ma non mi hanno beccato e se ne sono tornati indietro.
Ho preferito rischiare l'incontro con un serpente, un ragno o un insetto pericoloso tra quei cespugli piuttosto che finire sotto le mani di certi individui. Raggiunto il fuoristrada e tempo di raccontare l'accaduto che altre tre moto con tipi che brandivano machete ci hanno raggiunti e vista la mal parata, anche il nostro autista ha deciso che era meglio andarsene via. Sono quindi salito in jeep e una volta usciti dalla zona pericolosa, ho ripreso la mia corsa."
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foto di Lorenzo Santin |